Commento allo standard di Marisa Brivio Chellini

ORIGINI GERMANICHE

Chiunque abbia uno schnauzer ne avrà sicuramente ammirato il dinamismo, la vigilanza e l’istinto predatorio, quest’ultimo esercitato nei confronti di topi campagnoli, di conigli selvatici o, se si risiede in un appartamento di città, nei confronti di una comune pallina da tennis. Chi vive con uno schnauzer, quindi, intuitivamente presterà fede a coloro che individuano nei “Rattler” o “Rättenfanger” o “Rättenpinscher” o nei “cani da topi” (come li chiama il nostro ottocentesco zoologo Michele Lessona) gli antenati dello Schnauzer.

L’allevamento selettivo del cane con criteri scientifici è relativamente recente per tutte le razze odierne e coincide con la seconda metà dell’800 in pieno clima positivistico; ma la selezione sistematica ha potuto operare su esemplari prodotti in modo più o meno spontaneo dalla natura e dall’intervento dell’uomo, che valorizzava il cane coniugando le proprie esigenze con le diverse attitudini dell’animale, addomesticato – quindi condizionato – fin dal Neolitico.

Dunque è comprensibile che si trovino in epoca anteriore al sec. XIX immagini di cani con caratteristiche simili a quelle che ci permettono di distinguere le razze attuali. Così una statua del ‘600 o un dipinto degli inizi dell’800 denunciano l’esistenza di cani che con buona probabilità potrebbero essere stati impiegati per ottenere i nostri schnauzer; uno di quelli potrebbe essere, per esempio, il modello adottato dallo scultore della citatissima fontana di Stoccarda (vedi la monografia pubblicata su I NOSTRI CANI nel gennaio ’95).

Per uscire dalle ipotesi ed entrare nel campo delle certezze dobbiamo comunque limitarci a date più recenti.

Anche se in Italia i Pinscher e gli Schnauzer non si trovano nello stesso “box”, a differenza della Germania, nella quale la società specializzata vive sotto l’emblema del “Pinscher Schnauzer Klub e.V. 1895”, considereremo le due razze del secondo gruppo accomunate da una storia parallela.

Risulterà così interessante sapere che, dopo una presenza nello stesso ring di “Pinscher a pelo duro” e “Pinscher a pelo liscio” segnalata nell’esposizione di Amburgo del 1876, appaia nel 1880 il primo standard di un “Pinscher a pelo duro” ufficializzato dalla VDH (l’Ente tedesco della cinofilia) che ci descrive un cane simile al nostro schnauzer medio, a parte il colore e il peso. I suoi caratteri vengono meglio definiti nella successiva versione del 1895, anno di fondazione del “Pinscher Klub” tedesco e dell’apertura del primo libro genealogico. La fissazione dei colori pepe sale e nero era ancora incerta, ma già nel 1902 viene premiato in Esposizione uno Schnauzer medio nero puro.

Due anni prima era stata definita la razza Zwergschnauzer dal fondatore del Pinscher Klub Josef Berta come “versione rimpicciolita” del Medio.

Mantenendoci fedeli all’assunto precedente – ossia che le razze attuali non sono che il prodotto di una selezione sistematica fondata su esemplari di cani selezionati empiricamente dall’uomo in un determinato ambiente – lasciamo a Belgi e Tedeschi la polemica sulle origini della taglia gigante dello schnauzer, mentre noi ci limitiamo a riconoscerne un antesignano nel “Cane da lupo della Baviera” descritto nel 1876 da Fitzinger (citiamo ancora la citata e dotta monografia del 1995) come “robusto cane nero con testa lunga impiantata su un collo possente e con coda ed orecchie amputate, coperto di folto pelo ruvido”.

Nel 1921, lo “Schnauzer Klub”, fondato dal Dottor Zurhellen di Monaco per tutelare i Medi, si unì al “Pinscher Klub” di Berta, superando le difficoltà, da questo denunciate nel 1895, di riunire le “troppe varietà di questi nostri cani tedeschi”; gli standard degli Schnauzer erano ormai sostanzialmente definiti per le tre taglie, anche se il Riesen dovrà pazientare ancora due anni per avere il suo primo standard ufficiale e quattro per essere inserito nell’elenco delle razze da lavoro.

La costruzione per tutti doveva essere quadrata, la lunghezza della testa doveva corrispondere ad un terzo di quella della schiena, misurata dal garrese alla radice della coda; il collo doveva essere forte ma non troppo corto ed il ventre ben retratto. Variavano naturalmente le misure dell’altezza, indicata nei 40-50 cm. per il medio, 28 per il nano e nell’arco tra i 55 e i 65 cm. per il gigante.

La razza, già divenuta popolare nel periodo immediatamente precedente la Grande Guerra, conquistò un grande favore di pubblico come dimostrano le iscrizioni di cuccioli nel decennio 1924-1934: 10.000 medi, 7000 nani e 4000 giganti. Questi risultati confortavano anche l’entusiasmo degli sportivi per le prestazioni eccezionali fornite nel lavoro da esemplari come il gigante nero Peter Berlin, classificatosi primo col titolo di Reichsieger di lavoro nel 1936 nei pressi di Berlino.

Merito della società specializzata tedesca fu l’aver guidato la selezione con intelligenza e flessibilità, dando agli allevatori la possibilità di utilizzare anche i soggetti non ancora del tutto rispondenti, nel colore e nella taglia, ai criteri prefissati.

DIFFUSIONE IN ITALIA

Le attitudini alla guardia, alla giocosa e dinamica compagnia, i simpatici comportamenti associati alla tendenza a cacciare i topi, una bellezza dai connotati particolarissimi hanno probabilmente aperto un varco nella cinofilia italiana a favore degli schnauzer fin dai primi anni di esistenza del Pinscher Schnauzer Klub tedesco, anche se le importazioni non furono numerosissime: dopo il primo zwergschnauzer importato nel 1923, seguirono 15 schnauzer medi pepe sale tra il 1926 e il 1937 e tre riesen tra il 1931 e il 1940. Chi si è occupato di questo tipo di ricerca ha scoperto che i primi Riesen importati dalla Germania dopo la Seconda Guerra Mondiale varcarono il confine del canile dei “Diavoli Neri” nel 1947 per merito della Signora Giuliana Crippa, che introdusse i primi Medi e Nani neri due anni dopo.

Gli anni ’50 videro crescere la popolarità e la qualità – riconosciuta anche dai giudici tedeschi – degli schnauzer allevati in Italia. Sull’emblema dello Schnauzer Club Italiano compare la data del 1956, quando operavano allevamenti come quello “Del Colle Etrusco” del Dottor Bruno Roberti, “Del Pizzo Arrogante” del Prof. Ballotta, entrambi di Bologna, “Della Val di Serchio” della Signora Anna Maria Diciotti di Lucca, “Del Fratello Grigio” del Dottor Elio Sogliani, “Di Niguarda” del Dottor Gino Granata, “Del Parco” della Signora Rina Sacchetti, “Barbanera” poi rinominato “Malya” della Signora Milia Pozzi Tarlarini.

Insieme al numero degli appassionati si moltiplica negli anni ’60 anche quello degli affissi (“Di San Ranieri”, “Di Posillipo”, Del Tornese”, “Del Prillo”, “Del Chifente”, “Di Città dei Mille”, “Von Saupark”, “Di Roccascura”, “Dei Margravi”, “Della Val Chisone”).

Alcuni di questi allevamenti continuano la loro produzione mantenendo alto il prestigio della cinofilia schnauzeristica italiana, altri si sono aggiunti negli anni ’70 e ’80 ad impugnare il testimone di una selezione che ancora oggi contribuisce al successo della razza non solo in Italia, ma in Europa e nel mondo, come dimostrano tanti campioni che calcano i ring internazionali e che portano nei loro pedigree i nomi di famosi soggetti italiani.

COMMENTO ALLO STANDARD (disegni di S. Midulla)

Spesso e da più parti era pervenuto un invito al commento dello Standard; opera indispensabile alla migliore interpretazione della Razza che non può essere risolta in una sola trattazione. Data la vastità dell’argomento e l’importanza di ben toccare ogni punto, tale pubblicazione dovrà essere suddivisa in più puntate.

Non è mia intenzione voler pontificare in merito a quanto va accettato e quanto è senz’altro da escludere. E’ chiaro che a tale proposito l’interpretazione del tipo non è facilmente traducibile a parole. Pertanto al fine di meglio comprendere le buone qualità del tipo voluto mi accingo con tutta umiltà ad entrare nell’argomento, sulla base di esperienze fatte negli anni in cui ho costantemente allevato ed in quelli, ormai lunghi, in cui ho calcato più o meno tutte le “arene” nelle quali sono scesi Schnauzer allevati in vari Paesi.

ASPETTO GENERALE

Si tratta di Razza sostanzialmente prudente, di conseguenza non portata ad accettare subito chi non conosce, ma anche risoluta che denota l’attaccamento devoto e leale nei confronti del padrone e dei componenti dell’ambito familiare. La sua rusticità rende il nostro cane facilmente adattabile a qualsiasi tipo di clima e di condizioni ambientali. Robusto, sano, intelligente ha forse perduto quella disposizione all’addestrabilità e una certa mentalità di cane da lavoro. Non fa molta differenza lo Zwergschnauzer che nella piccola misura si ritiene grande quanto i suoi parenti di taglia maggiore per quanto riguarda intelligenza, coraggio, vigile attenzione nel segnalare la presenza di estranei. Non è affatto raro che soggetti di taglia nana siano stati addestrati soprattutto nell’obbedienza e nella guardia.

TESTA

Laddove nello Standard leggiamo la definizione “testa robusta” non dobbiamo interpretarla come pesante e massiccia. E’ definita robusta in quanto si vuole decisamente evitare una testa esasperata nella lunghezza e nel cesello a ricordare un modello dolicocefalo. Tuttavia un giusto cesello è sempre apprezzabile in quanto indice di testa asciutta ed elegante, e per cesello si intende, oltre una certa salienza delle ossa, la non eccedenza di pelle e di connettivo a determinare rughe e consistenza eccessiva del derma. Purtroppo talvolta è dato osservare un esagerato sviluppo dell’apofisi occipitale e delle bozze frontali. Tale aspetto si accompagna soprattutto a teste troppo allungate ed eleganti (Dis. 1) che, da un certo punto di vista altamente tecnico sono in contrasto con la definizione di “testa robusta”, quindi non rispondenti al tipo. La testa corretta è intesa con cranio piatto (Dis. 2) senza le suddette protuberanze di fronte e occipite ma anche senza convessità fra orecchie e parietali, come appare dal (Dis. 3).

Sovente la descrizione di certe teste eccessivamente lunghe, (a questo punto va fatto attenzione all’ipertipo di certi soggetti che appaiono chiaramente maggiorati nelle proporzioni e nelle linee che riguardano la testa) viene definita come da “terrier”: va chiarito che non è la sola lunghezza che deve far usare la suddetta definizione, bensì, prima di pronunciarsi impropriamente in tal senso, si deve considerare un insieme di fattori: il parallelismo delle facce laterali della testa nel suo insieme, l’inadeguato sviluppo del muscolo massetere e l’appiattimento dell’arcata zigomatica, l’assenza o la poca evidenza del salto nasofrontale con conseguente divergenza degli assi craniofacciali. Va ricordato che la testa deve presentare una certa larghezza alle arcate zigomatiche, moderatamente restringentesi verso l’occhio e da questo punto, altrettanto gradatamente, diminuisce fino al muso che, come già accennato, deve essere ben pieno (quadratura) lasciando adeguata distanza fra i canini; indice questo di un corpo della mandibola (mento) ben sviluppato. Importante considerare il muscolo massetere, localizzato sotto gli zigomi, fra le regioni parotidea e sottorbitale. Esso è preposto alla funzione della masticazione e della presa; pertanto lo standard richiede che sia ben sviluppato ed evidente ma non al punto di debordare dall’arcata zigomatica, ciò anche al fine di non alterare la forma della testa che, con l’aiuto di barba e sopracciglia, deve apparire rettangolare.

Ogni allevatore è senz’altro consapevole di quanto detto nello standard di razza soprattutto per ciò che riguarda:

il comportamento degli assi cranio facciali che devono essere paralleli (Dis. 4-B condannabile la divergenza 4-A e la convergenza 4-C).

il rapporto fra cranio e muso 1 a 1 (la misura dal tartufo allo stop deve essere pari a quella che va dallo stop all’apofisi occipitale) (Dis. 5).

quella fra lunghezza della testa confrontata con la lunghezza del dorso (misurata dalla radice della coda al garrese) che deve essere nel rapporto di 1 a 2 (Dis. 6). Spesso sfugge un dettaglio che precisa come il rapporto fra testa e tronco deve essere in armonia anche da un punto di vista volumetrico. Per intenderci più’ chiaramente una testa eccessivamente esile, leggera, sia pur corretta nei rapporti longitudinali non è più’ armonica quando si accompagna ad un tronco con ossatura poderosa, eccessiva cerchiatura del costato e ipersviluppo volumetrico delle masse muscolari.

un’altra regione da considerare è quella sottorbitale. Per avvicinarci di più a quello che comunemente è riconosciuto come modello di testa ideale è determinante che questa regione sia piuttosto piena per due motivi importanti: primo perché indice di forte innesto della canna nasale nel cranio a cui segue un giusto sviluppo di mascella e mandibola a terminare nella voluta forma a tronco di cono con una buona quadratura del muso, il secondo motivo che deve far ricercare come pregio la pienezza della regione che stiamo analizzando è legato all’occhio e al suo inserimento nelle orbite. Infatti uno svuotamento eccessivo sotto di esse coinvolge la posizione e la forma dell’occhio. Ciò a detrimento dell’espressione corretta. La sua forma è descritta come ovale, ma oltre a ciò va tenuta in considerazione anche la profondità del suo inserimento nell’orbita: l’eccessiva sporgenza, come un globo troppo infossato, concorrono a rendere un’espressione errata. Le rime palpebrali devono essere asciutte, aderenti, la congiuntiva mai in vista ed il colore dell’iride deve essere il più’ scuro possibile. E’ proprio al colore che è legata la buona pigmentazione e lo sguardo deciso, attento, che sono tipici del nostro cane e sovente ne esprimono il carattere sicuro. L’occhio chiaro, un tempo definito “da sparviero” conferisce fra l’altro un aspetto infido.

Logica conclusione della canna nasale è il tartufo che deve avere adeguato sviluppo con margine superiore arrotondato, narici ben aperte, sempre molto ben pigmentato in colore nero.

Il profilo inferiore del muso è sempre determinato dalle branche della mandibola e non dal labbro che deve essere aderente, asciutto e mai pendulo o con commessura troppo rilassata. Va da se che la pigmentazione delle mucose e del labbro è sempre intensa.

DENTI

In alcuni numeri passati de “I nostri cani” abbiamo seguito con interesse diversi articoli riguardanti le dentature con comparazione ad alcuni selvatici soprattutto per quanto attiene la mancanza di alcuni premolari. La documentazione fornita a sostegno delle teorie dell’Autore era più’ che attendibile e scientificamente ineccepibile. Purtroppo per quanto attiene la dentatura nella nostra Razza non abbiamo possibilità di equivoco e tolleranza di fronte al numero totale, 42, ed alla disposizione della dentatura che deve essere a forbice (Dis. 7-A). Prognatismo (Dis. 7-B) ed Enognatismo (Dis. 7-C) sono difetti tali che, da soli, declassano il cane nelle qualifiche. Lo standard infatti riporta molto chiaramente quanto segue: “Dentatura completa, di colore bianco puro, molto robusta ed a forbice ben combaciante”.

Pertanto ogni deviazione da quanto indicato dallo Standard per quanto attiene la completezza, il colore, la robustezza e per la chiusura deve essere tenuta nella debita considerazione e penalizzata. Al fine di togliere ogni possibile dubbio ai nostri appassionati allevatori ed espositori, riteniamo opportuno riportare alcuni grafici che chiariscono inequivocabilmente cosa sia la forbice, il prognatismo e l’enognatismo.

ENOGNATISMO: il mascellare superiore sopravanza decisamente quello inferiore (Dis. A). Anche gli incisivi superiori sopravanzano quelli inferiori senza che gli incisivi delle due arcate si tocchino (Dis. F). E’ questo il difetto più’ grave che si può verificare in una dentatura e, in fase di giudizio, pone il soggetto alla più’ bassa qualifica.

ORTOGNATISMO : i due mascellari sono di pari lunghezza (Dis. C), o quello superiore sopravanza impercettibilmente l’inferiore (Dis. B). Queste posizioni portano come conseguenza a tre tipi di chiusura:

Forbice, quando la faccia posteriore degli incisivi superiori tocca la faccia anteriore di quelli inferiori (Forbice profonda Dis. G) (Forbice al limite Dis. H).

Tenaglia, quando gli incisivi superiori ed inferiori sono perfettamente allineati e combacianti ai loro margini (Dis. I). Difetto che, pur consentendo in soggetti di grande tipicità e corretta costruzione la massima qualifica, preclude tuttavia la strada al Campionato.

Forbice a rovescio, quando esiste un’antiversione degli incisivi inferiori (più raramente retroversione dei superiori) di modo che gli incisivi superiori toccano, con la loro faccia anteriore, la faccia posteriore di quelli inferiori (Dis. K). Anche in questo caso è decisamente preclusa ogni possibilità di adire al Campionato. (N.B. non confondere questa posizione K con la posizione L).

PROGNATISMO: la mascella inferiore, o mandibola, sopravanza di poco la mascella superiore (Dis. D, accenno di prognatismo); posizione che porta conseguentemente alla chiusura indicata nella figura L. Questa chiusura, toccandosi gli incisivi delle due arcate, viene talvolta impropriamente definita “forbice rovesciata”. Impropriamente perché i due casi apparentemente uguali (Dis. K e Dis. L) sono in effetti ben diversi. Nel primo caso (Dis. K) si tratta di ortognatismo (mascelle allineate Dis. C) e la “forbice a rovescio” è data da un’antiversione degli incisivi inferiori; nel secondo caso invece (Dis. L) si tratta di un vero prognatismo (mascellare inferiore che sopravanza il superiore) (Dis. D), anche se al limite, e tale difetto esclude inequivocabilmente il soggetto dalla massima qualifica. Ancor più’ grave e maggiormente penalizzabile il caso del (Dis. M) dove il prognatismo è assai più’ evidente, in quanto la mandibola sopravanza di molto la mascella superiore (Dis. E).

ORECCHIE

Le orecchie devono essere inserite in alto, abbastanza ravvicinate; ciò va di pari passo con un cranio piatto (Dis. 8-A). Un’attaccatura bassa dell’orecchio si accompagna a parietali arrotondati, a teste pesanti, sovente larghe con occipite pure arrotondato (Dis. 8-B). All’amputazione simmetrica ed al loro portamento eretto e fiero, descritto dallo Standard, aggiungo una nota personale circa la lunghezza del taglio, seguita all’osservazione di alcuni disegni apparsi su un opuscolo del PSK del 1972. La misura dell’orecchio deve essere in armonia con la testa intesa nei suoi volumi (Dis. 10). L’orecchio corto, (Dis. 11) contribuisce a dare impressione di cranio largo e di testa non completa, non avvantaggiando di certo l’aspetto elegante. L’orecchio eccessivamente lungo (Dis. 9) guasta in modo particolare l’espressione che viene avvicinata, mi si consenta, a quella del somaro, con tutto rispetto per il mite quadrupede. Nel caso in cui l’orecchio sia integro, deve terminare a forma di “V”, piuttosto piccolo, con cartilagine e derma fine e deve essere portato ripiegato in modo che il suo margine anteriore aderisca alle guance, leggermente rilevato (Dis. 12) e non totalmente ricadente alla “braccoide” (Dis. 13).

E’ anche previsto dallo Standard che l’orecchio integro, sempre che inserito bene in alto e di piccola dimensione, possa restare eretto naturalmente. Tale eventualità è più facilmente riscontrabile negli Zwergschnauzer, data la particolare forma e consistenza del padiglione. Sfortunatamente esempi molto convincenti di soggetti con orecchie integre e portate erette non si sono visti a tutt’oggi. E’ opinione mia personale che la posizione ripiegata lungo la guancia modifica senz’altro l’espressione ideale ma mai quanto la può alterare la posizione eretta di un orecchio integro.

In merito a soggetti con orecchie integre è bene spendere alcune parole. Nei paesi dove l’intervento estetico di amputazione è vietato da ormai lunghi anni gli allevatori hanno posto attenzione sia alla corretta posizione dell’orecchio sia ad una dimensione più contenuta possibile. Si sono evitate orecchie particolarmente grandi con cartilagine troppo consistente, derma e sottocutaneo eccessivamente spessi.

Va da se che qualora si decidesse di lasciare integro il padiglione auricolare bisogna preferire quelle che più si avvicinano ad un certo ideale di armonia.

COLLO

Trattasi di regione molto importante sia da un punto di vista estetico (dall’incollatura è data l’eleganza e la distinzione di un soggetto) che da un punto di vista funzionale.

Lo Standard ce lo descrive eretto, nobilmente slanciato e ben sortito dalla spalla. Si parla anche dell’attaccatura del collo alla testa, più precisamente alla nuca, che deve essere arrotondata e scolpita a disegnare un profilo superiore del collo morbidamente arcuato.

La pelle del collo deve essere ben aderente, tanto che fra i difetti è citata la giogaia (pelle abbondante e rilassata alla gola). Infine lo Standard precisa come il collo non deve essere né corto né grosso. In effetti un collo eccessivamente sviluppato in larghezza, come pure un collo corto, conferiscono grossolanità al soggetto.

Per quanto riguarda la sua lunghezza l’ideale è che esso sia lungo almeno quanto la testa anche se nel galoppatore sarebbe auspicabile una maggiore lunghezza.

Perché si esige una certa armonia di proporzioni e rapporti fra collo e testa? Nel corso delle nostre lezioni di cinognostica, è stato dato ampio risalto alla funzione del collo, definito bilanciere cefalo cervicale.

Funzione determinante nel movimento in quanto spostando in avanti il collo (e conseguentemente la testa) si sposta in avanti il centro di gravità favorendo quell’instabilità del corpo indispensabile al moto ed alla velocità. Solaro, che ci ha lasciato preziosa testimonianza delle sue osservazioni sul cane, evidenzia un altro ruolo del collo citando una giusta teoria del Lesbre secondo la quale il collo e la testa, agendo sul legamento cervicale, esercitano una funzione di tensori della colonna a livello dorso-lombare, intervenendo in modo determinante negli atti di propulsione.

E’ facile comprendere come un collo corto e tozzo non sia favorevole allo sviluppo di un galoppo veloce, andatura tipica dello Schnauzer.

A conferire eleganza all’incollatura gioca, oltre alla sua lunghezza, la sua uscita dalla spalla.

Da spalle ben inclinate e lunghe non può che sortire un collo ampio e robusto alla base, nobilmente arcuato (Fig. 1) mentre da spalle brevi e diritte il collo uscirà stretto e cilindrico a ricordare un tubo di stufa (Fig. 2).

Importante infine la posizione del collo, vale a dire come viene portato; ciò è in relazione alla lunghezza del braccio.

Giudicando anche cani di Razze diverse mi è stato dato modo di constatare come ad un braccio corto rispetto alla spalla si accompagna quasi sempre un collo portato indietro, quasi in verticale. Non sono mai riuscita a trovare una giustificazione convincente a questa causa-effetto.

E’ evidente che il braccio breve porta in avanti l’arto anteriore (Fig. 3) spostando il baricentro del soggetto che viene a trovarsi fuori di sé anteriormente e, con molta probabilità, il cane cerca una compensazione arretrando il collo e portandolo quasi perpendicolare al dorso.

Questa errata posizione del collo, se può ingannare un osservatore superficiale e profano colpito da un apparente senso di eleganza, non deve trarre in inganno gli allevatori e gli appassionati. Un collo così descritto, oltre a compromettere un corretto movimento (lo vedremo a proposito dell’articolazione scapolo omerale) non corrispondente neppure da un punto di vista estetico alla descrizione dello Standard che, fra i difetti, elenca questa posizione definendola “collo di cervo”.

GARRESE

Del garrese si è parlato troppo poco nello Standard che lo menziona solo nella descrizione del profilo superiore o in riferimento alla misurazione delle tre taglie. Si tratta di un’altra regione molto importante, da considerare attentamente sia in fase di giudizio che per i nostri piani di allevamento.

Per meglio comprendere la sua funzione è importante conoscere la sua base anatomica che è composta dalle prime cinque vertebre dorsali, dal margine dorsale delle scapole, da legamenti e muscoli.

Sua funzione principale è quella di fungere da supporto, con le apofisi spinose ben elevate delle sue vertebre, ai muscoli elevatori della scapola.

Più il garrese è elevato (ovviamente rispetto al livello del dorso) maggiormente sono lunghi questi muscoli, favorendo l’oscillazione dell’arto per un passo lungo e disteso.

Le apofisi del garrese inoltre fungono da leva per il legamento cervicale, per cui un garrese elevato e lungo favorisce il lavoro di detto legamento che, come già detto a proposito del collo, è quella di tendere il rachide agevolando la spinta propulsiva degli arti posteriori.

COSTATO

Nello Standard, per quanto riguarda la cerchiatura, è descritto in maniera un po’ ambigua.

E’ indicato con coste piatte ma ovale nella sua sezione trasversale.

Il “piatto” è da riferirsi allo spessore della costa e non alla sua curvatura; è evidente che, se fosse riferito alla cerchiatura, piatto e ovale sarebbero in contrasto fra loro.

Nello Schnauzer pertanto il costato non deve essere troppo arrotondato a somiglianza della struttura di un brachimorfo. L’eccesso di cerchiatura, nel nostro caso, è difetto definito “torace a botte”, decisamente sfavorevole in un galoppatore. Né d’altronde è da accettare un costato piuttosto piatto, da dolicomorfo.

Riferendoci alla definizione dello Standard di “costato ovale” dobbiamo ricercare come ideale quel torace di moderata lunghezza che sia la giusta via di mezzo fra i due eccessi appena descritti; moderata larghezza che lascia spazio vitale a cuore e polmoni, organi di importanza determinante per il galoppo e la resistenza, ma che non ostacoli il movimento e l’allineamento corretto degli arti anteriori come si verificherebbe con un’eccessiva curvatura.

Lo sviluppo di un torace va considerato nelle sue tre dimensioni: trasversale, verticale, longitudinale o sagittale. Si è appena descritta la sua cerchiatura o dimensione trasversale.

Circa la sua dimensione longitudinale un torace ideale deve apparire molto profondo; qui va chiarito che questa espressione non è riferita all’altezza del torace ma alla sua lunghezza, dal petto all’ultima costa fluttuante o libera (Fig. 4-5). Un torace poco profondo porta come conseguenza un rene lungo o è sinonimo di cane eccessivamente nel quadrato, riducendo in tal caso la volumetria e la conseguente capacità respiratoria a danno del lavoro e della resistenza del soggetto.

A questo proposito ritengo importante chiarire un punto sempre male interpretato dalla maggioranza degli espositori. Il concetto di cane lungo o di cane corto deve sempre riferirsi espressamente al rene, cioè quella regione corrispondente alle sette vertebre lombardi e compresa fra l’ultima costa libera e la coscia (Fig. 4-5).

Se vogliamo riferirci alla lunghezza del tronco in rapporto all’altezza al garrese dobbiamo parlare di cane nel quadrato, appena fuori del quadrato, nel rettangolo. Un cane può essere nel quadrato ma avere nel medesimo tempo un rene lungo (Fig. 4). In questo caso si assommano due gravi difetti: il primo di avere obbligatoriamente un torace poco profondo con le conseguenze appena descritte parlando delle dimensioni longitudinali, il secondo di avere un rene lungo compromettente la resistenza del soggetto nel movimento e nel lavoro.

Ad un cane con rene lungo ma ugualmente nel quadrato per scarsa profondità toracica è senz’altro preferibile un cane appena fuori dal quadrato ma con rene breve e torace profondo (Fig. 5).

Ed il nostro Standard, a questo proposito, è molto preciso: “La distanza fra l’ultimo arco costale e l’anca è breve si da dare alla costruzione del cane una apparenza compatta. La lunghezza del tronco corrisponde approssimativamente alla sua altezza al garrese”. L’ideale sarebbe un cane nel quadrato, con rene molto corto e torace giustamente sviluppato nelle sue tre dimensioni; ma attenzione! Ben difficilmente un soggetto del genere ha giuste angolazioni. Quasi sempre un cane molto corto ha spalle diritte e angoli piuttosto aperti. Anche in questo caso è nuovamente da preferirsi il soggetto raffigurato nel disegno 5 che, come appena detto, non sarà nel quadrato ma avrà tutti gli altri preghi, dal torace al rene alle angolazioni, che gli consentiranno potenza nella spinta, grande allungo e movimento molto sciolto. Infine, la dimensione verticale.

Un torace deve anche essere ben disceso, vale a dire che dal suo punto più elevato (garrese) deve scendere almeno a raggiungere il gomito.

Un torace poco disceso oltre a ridurre anche in questo caso la capacità respiratoria (salvo altro difetto compensativo: “torace a botte”) determina l’alternativa di altri due difetti: o gomiti troppo aperti, specie se il torace è troppo cerchiato, con evidente oscillazione degli stessi in movimento, o gomiti troppo chiusi fra loro portando come conseguenza un apparente mancinismo quando il soggetto è in posizione eretta.

Osservando il cane di fronte dobbiamo avere visione di un petto ben sviluppato, pieno e moderatamente ampio fra le articolazioni scapolo-omerali, ma sempre in armonia con la forma ovale del suo torace. L’osso che si trova al centro del petto, manubrio dello sterno, dev’essere ben pronunciato in avanti si che, osservato di profilo, deve appena sopravanzare l’articolazione scapolo-omerale. L’eccesso di detta sporgenza determinerebbe una regione pettorale eccessivamente prominente e piena a somiglianza del petto di un pollo.

Fortunatamente questo difetto non è facilmente riscontrabile nella nostra razza.

LINEA SUPERIORE

La linea superiore, o linea dorso-lombare, non deve mai apparire come una corda tesa a determinare un profilo rigido e rettilineo dal garrese alla groppa, ma leggiamo nello standard segue una leggera, elegante ondulazione che partendo dalla prima vertebra del garrese e seguendo il profilo dorso-lombare e della groppa (leggermente arrotondato) si inserisce morbidamente nel punto di attacco della coda.

Ad un garrese rampante fa seguito un dorso rettilineo, senza convessità (cifosi o dorso di carpa) né concavità o cedevolezze (insellatura o lordosi).

Soprattutto nella nostra razza trattandosi di galoppatori, la funzione del galoppo, con la già menzionata trazione esercitata dal legamento cervicale e dal collo, deve irrigidire e tendere questo tratto dorsale.

Cifosi e lordosi sono decisamente condannabili in quanto dovute ad alterazioni nello sviluppo delle vertebre, non correggibili dall’esercizio del galoppo e negative per il movimento.

Dal prezioso volume “Giudicando in Esposizione” del Barone Piero Renai della Rena, prendiamo spunto per alcune immagini atte ad illustrare la dispersione delle forze di spinta in relazione ai problemi dei profili dorso-lombari (Fig. 6).

Talvolta quando un garrese è molto rampante, si può notare lieve depressione dopo di esso, definita spezzatura all’undicesima-dodicesima vertebra (considerando le sette cervicali, corrispondente alla quarta-quinta dorsale). Non si tratta di anomalia del corpo delle vertebre come nel caso della cifosi e della lordosi, ma è favorita da un eccessivo rilassamento dei legamenti e dei muscoli. Non va pertanto considerato difetto vero e proprio, anche perché con adeguato e tempestivo esercizio di movimento può attenuarsi o risolversi.

La linea dorsale prosegue con il rene ed è questo il tratto che deve presentare una dolce curvatura a proseguire morbidamente nella groppa fino all’attaccatura della coda.

Il rene è un ponte che collega il posteriore all’anteriore e come tale non può e non deve essere piatto. Presenta una leggera convessità favorita anche dai muscoli sopralombari che conferisce quella flessibilità indispensabile alla trasmissione del movimento generato dal posteriore.

Un rene, per le funzioni sopra espresse deve altresì essere corto e forte. Come già detto il rene lungo compromette il corretto movimento e la resistenza del soggetto. A completare la linea superiore è la groppa.

Anatomicamente la groppa è quella parte formata dalle vertebre sacrali saldate fra loro a formare un corpo unico. A noi questa regione interessa moltissimo per i grandi fasci muscolari responsabili della propulsione e per l’inclinazione del coxale che determinano l’inclinazione del posteriore.

Pertanto voglio intendere per groppa l’intera regione formata dal sacro (groppa vera e propria) e dal coxale, vale a dire quella parte ossea che inizia dall’ileo e termina con la punta ischiatica o punta della natica (fig. 7-8). Ciò premesso, la groppa dev’essere larga, lunga e appena inclinata sull’orizzontale.

Larga tanto che fra le creste iliache possano, in un medio e in un Riesen, adagiarsi almeno quattro dita di una mano, meglio ancora se il palmo intero (Fig. 8 bis).

E’ ovvio che su una base ossea larga possono inserirsi masse muscolari adeguate.

Inoltre ad una groppa stretta corrisponde quasi sempre un rene gracile.

La sua lunghezza è misurata dall’ileo all’ischio ed all’osservazione dell’esaminatore appare ben lunga quando la punta della natica sopravanza bene l’inserzione della coda.

Su un coxale lungo si inseriscono fasci muscolari forti e lunghi.

Tanto più il muscolo è lungo, maggiore è la sua possibilità di contrarsi ed estendersi, maggiore in questo caso la possibilità di aprire e chiudere i suoi raggi ossei, e conseguentemente più scatto e potenza propulsiva.

Chi ha seguito i miei giudizi avrà notato, e potrà ora comprendere, la mia insistenza nell’esaltare ed evidenziare una natica ben sporgente.

Infine l’inclinazione. Ad una groppa (osso sacro) quasi orizzontale, corrisponde un coxale la cui inclinazione varia dal 15 al 20%.

L’orizzontalità della groppa favorisce il galoppo veloce.

Ad una groppa di giusta angolazione corrispondono muscoli ischio-tibiali lunghi (fig. 6).

Più la groppa è inclinata, più questi muscoli si riducono diminuendo la loro capacità di contrarsi (Fig. 7).

Il discorso appendo concluso può apparire prolisso e un po’ esasperato, ma ritengo di non ribadire mai abbastanza un così importante argomento. Questo aspetto del profilo superiore descritto dallo standard “con morbida curvatura” ed approfondito dal mio commento, va sempre visto con una ottica tendente ad attenuare certi concetti.

Non vorrei che da quanto detto qualcuno venisse indotto ad indulgere su certe depressioni o curvature e tollerare degli eccessi considerati dei difetti.

Non ultimo va tenuto presente che lo scheletro è ricoperto da muscoli, tegumento e pelo, si da conferire al tutto la visione di una linea superiore il più possibile rettilinea.

Bisogna considerare che una buona linea dorsale, anche in movimento, resta sempre ferma, pur sviluppandosi nelle sue curve fisiologiche.

È necessario insistere a lungo nell’osservazione dei soggetti in movimento. Talora, seppure nel trotto limitato da un ring ristretto, cedevolezze e posizioni scompaiono mentre si accentuano visibilmente difetti di cifosi o lordosi.

Studiando i profili, nelle linee del tronco, si deve riscontrare una certa armonia di comportamento.

Vale a dire che ad un dorso insellato corrisponderà una linea inferiore molto bassa.

In un soggetto cifotico, o con groppa molto avallata, farà riscontro una linea inferiore ritratta, a ricordare quella di certi levrieri (linea inferiore levrettata).

Ad un profilo dorso-lombare corretto dovrà seguire una linea inferiore dolce, morbidamente risalente dallo xifoide alla regione inguinale.

ARTI ANTERIORI

Della spalla si è già detto a proposito del collo e del garrese.

La sua inclinazione di circa 45-50° sull’orizzonte, oltre a determinare come si è visto un’elegante uscita di collo, condiziona l’oscillazione dell’arto favorendo un passo lungo (Fig. 9) mentre una spalla dritta (appare chiaro dalla Fig. 10) riduce l’ampiezza del passo.

Infine una spalla inclinata è più lunga, ovviamente con muscoli altrettanto lunghi, e i muscoli inseriti alla scapola agiscono su braccio ed avambraccio regolando l’estensione del passo.

Il braccio, secondo Solaro, non è mai abbastanza lungo in quanto favorisce una più ampia oscillazione.

Se consideriamo che l’inclinazione del braccio è di circa 60° sull’orizzonte contro i 45-50° della spalla e che la punta del gomito dovrebbe trovarsi sulla perpendicolare abbassata dalla punta anteriore o craniale della scapola ne consegue che il braccio deve risultare più lungo della spalla (Fig. 11) quantomeno di pari lunghezza.

Un braccio corto, oltre a spostare il centro di gravità come accennato a proposito del collo, comporta una riduzione nell’oscillazione dell’arto obbligando il cane a passi brevi (Fig. 12) e di conseguenza più rapidi con evidente affaticamento e diminuita resistenza.

In andatura, per il mancato allungo dell’arto anteriore, il cane è portato a cercare una compensazione evidenziando altri difetti: o sollevare l’avambraccio e il piede (movimento steppante a imitazione di certi cavalli Hackney) con conseguente errato portamento del collo, oppure deviando all’esterno il metacarpo ed il piede (azione remante).

Nella composizione dell’arto anteriore seguono avambraccio, carpo, metacarpo e piede.

Su queste parti non vorrei dilungarmi se non per dire che devono essere in perfetto appiombo, sia visti di fronte che di profilo.

Ricordo che il piede deve essere da gatto, quindi rotondo, compatto con falangi ben arquate. Vorrei solo spendere due parole in più sul metacarpo.

È considerato l’ammortizzatore che attenua l’approdo a terra del cane in fase di galoppo.

È pertanto indispensabile, riferendoci alla nostra Razza, che esso sia leggermente inclinato.

Se fosse diritto, perpendicolare, rigido il cane ad ogni impatto col suolo riceverebbe contraccolpi violenti e affaticanti. Evitare però l’eccesso di inclinazione (di solito accompagnato da piedi lunghi e parti) perché ritarderebbe le azioni del galoppo veloce e risulterebbe anch’esso stancante per un soggetto in attività.

ARTI POSTERIORI

Il femore dev’essere lungo per avere una maggiore ampiezza di oscillazione, maggiore apertura d’angolo e più scatto.

La sua inclinazione sull’orizzontale dovrebbe essere di circa 70°.

Anche la tibia non è mai abbastanza lunga; la sua lunghezza condiziona la sua inclinazione onde formare col tarso un angolo non troppo aperto, cui corrispondano ampia corda di apertura e maggiore potenza.

Il garretto o tarso è il fulcro delle forze del momento in cui inizia lo scatto. È pregevole quando è secco, asciutto, privo di connettivo e soprattutto molto largo.

Un garretto non adeguatamente sviluppato in larghezza, risulterebbe gracile a danno delle forze di propulsione. Come il tarso anche il metatarso è richiesto asciutto, secco, privo di connettivo sottocutaneo, ad ospitare tendini, ricoperto solo di pelle.

Nei soggetti piazzati dev’essere sempre verticale. È auspicabile sia corto per offrire la massima resistenza.

Nel momento dello scatto il metatarso appoggia sul terreno, quasi orizzontalmente, e su di esso gravano tutte le forze del posteriore nell’apertura dell’angolo che determina la propulsione.

Il piede, come per l’anteriore è da gatto con falangi ben arcuate.

Tuttavia da un’osservazione generale, il piede posteriore in tutte le razze è sempre un poco più allungato di quello anteriore.

MANTELLO

Se limitiamo l’esame dello schnauzer alla taglia media e al colore pepe sale ci riferiamo dunque al prototipo che ha dato vita alle altre taglie e alle altre varietà di colore. Ritengo di poter affermare che proprio il colore pepe e sale e la tessitura forte del mantello siano una ragione in più per giustificare il fascino che dallo schnauzer emana prepotente. È proprio il colore menzionato che ci fa meglio comprendere quanto lo standard descrive a proposito del suo pelo. È duro e ruvido, compatto, uniformemente distribuito su tutto il tronco, gli arti, il cranio e persino il petto. Perché è pepe e sale e non grigio? Questo colore è dato dal bianco e dal nero. Su ogni singolo pelo che ricopre il mantello dello schnauzer si trovano sia il bianco sia il nero. Ogni pelo ha una radice nera, a metà circa del pelo vi è una banda bianca per poi tornare nero nel suo ultimo terzo; alla punta. La sfumatura e i vari toni di colore che osserviamo nei soggetti in esposizione è data dalla lunghezza delle tre bande e dalla intensità, o purezza, sia del nero sia del bianco. Va da se che un mantello ben duro di tessitura e ben distribuito sarà più ricco di pigmento e ciò a vantaggio del colore finale che, in taluni casi fortunati, raggiunge sfumature bluastre. Nell’idealizzazione del mantello ogni eccesso di barba e “guarnizioni” agli arti non è voluta. Va ricordato che in origine questa razza era soprattutto usata come compagna del cavallo nelle scuderie. Ne difendeva la biada, viaggiava con lui per lunghe distanze in ogni condizione atmosferica e, all’occorrenza, non disdegnava il piacevole passatempo di cacciare i topolini che nel caldo delle stalle si annidavano. Non va dunque dimenticato che lo schnauzer è cane in cui dovrebbe sempre emergere l’attitudine al lavoro, ad apprendere e a compiacere il compagno “uomo”.

Tornando al mantello abbiamo considerato la parte dura, ispida di esso che possiamo definire “di copertura”. Al di sotto di esso ci dovrebbe essere sempre uno strato di densa e fitta peluria che, se ben corta e densa ha la funzione di vera e propria coperta, assicurando al corpo il calore necessario a ben sopportare pioggia e freddo.

Difese agli occhi vengono definite come sopracciglia cespugliose e così pure la sua barba mai profusa e abbondante a ricordare un ipotetico Babbo Natale. Per il colore nero nulla dovrebbe cambiare ma dobbiamo chiederci quali altri razze, in un passato ben lontano da ora, hanno contribuito a dare questa varietà che è più recente. Da qui tutta la gamma di differenze nella tessitura, nell’intensità e nella lunghezza dei mantelli di colore nero. Tenendo sempre ben presente che si tratta di razze (e qui voglio usare il plurale) con attitudine al lavoro non dovremmo indulgere più di tanto sul mantello dello schnauzer.

Anche questo punto fa parte del tanto menzionato tipo. Uno schnauzer che nasce come lo descrive lo standard non può essere confuso con altre razze simili e, fra le altre cose, il suo mantello è quella caratteristica che lo fa riconoscere subito al primo sguardo.

A questo punto esaminando i soggetti che dobbiamo additare quali migliori riproduttori non dimentichiamo mai la domanda che ci siamo posti poco prima. Il riferimento è per le razze che hanno contribuito ad aggiungere, non solo colore, ma taglia diversa ai giganti e ai molti zwerg. Dobbiamo dunque esigere di vedere emergere le caratteristiche di tipo e, allo stesso tempo, dobbiamo essere un po’ più tolleranti e valutare i soggetti con una ottica più vasta, sempre che la costruzione, l’andatura e la rusticità dei soggetti sia ben evidente, insieme alle proporzioni e alla descrizione fatta dallo standard. Ciò è riferito in modo particolare ai riesen e zwerg.

Riprendendo l’argomento del sottopelo si può osservare talvolta una profusione, una lunghezza eccessiva di esso oppure una sua totale assenza. Non stiamo dunque a chiedere le ragioni di ciò. Probabilmente si tratta solo di errata selezione. L’assenza di sottopelo si può accettare nel caso in cui la durezza complessiva del mantello e la sua distribuzione siano tali da ritenere tale caratteristica migliorativa della discendenza; non bisogna però dimenticare che barba e sopracciglia, sia pure in quantità minore, devono essere sempre essere molto ben presenti.

Quando è sottopelo diviene troppo abbondante e lungo anche la consistenza della “copertura” ne soffre. Sappiamo come la cheratina sia la componente responsabile della consistenza del mantello e insieme ad essa il pigmento va di pari passo. Sempre con pelo ben duro agli arti, al cranio, al petto è anche quello di miglior colore sia nel nero che nel pepe sale. Per questo secondo colore lo standard vuole una buona maschera che conferisca maggiore espressione.

Se è vero che lo schnauzer è cane con attitudine al lavoro è altrettanto vero che l’uomo ha delle esigenze estetiche e per appagarle accetta troppo spesso non dei giusti compromessi ma addirittura delle deviazioni da quanto voluto non solo dallo standard ma anche da una tradizione che storicamente si tramanda. La selezione è sostenuta anche dalle esposizioni di bellezza che inducono spesso i giudici ad accettare ciò che appaga il loro senso estetico. Ciò che attrae e cattura la loro attenzione con prepotenza e che fa dimenticare la funzione per la quale una razza fu creata sin dalle sue origini.

Quanto detto non va interpretato come una mia intransigenza verso questi oggetti che si presentano in belle condizioni di forma, con un mantello compatto, con una certa “guarnizione” agli arti, con una buona barba e dal ciuffo un po’ più profuso e abbondante.

Lo standard condanna le sfumature giallastre e il colore “senape” o “sabbia” diffuse sia nella copertura che nel sottopelo. I colori comunque devono essere puliti e ben dichiarati. Nel suo soddisfacente “sapere” lo standard consente che al muso vi possa essere un po’ di colore diluito verso il bruno. Sempre a ragione delle varie razze che, nel corso degli anni, sono entrate a far parte delle manipolazioni per ottenere il colore nero e le taglie “gigante” e “nano” si verifica che in tale colore vi siano delle diminuzioni del nero nei punti corrispondenti alle marcature classiche delle razze che nascono come “nero-focate”.

Forse il vecchio pinscher del passato ci ha lasciato un suo contributo proprio in tale caratteristica.

Agli inizi lo schnauzer appariva come un cane di tipo simile a un “griffone” con pelo molto duro e, in vero, assai poco delle difese al muso e agli occhi che tanto hanno modificato il suo aspetto e che, oggi ci piace ritrovare nei nostri cani. Tale caratteristica fa si che poco si lasciasse alla “toelettatura” ciò è divenuta invece pratica abituale per la buona manutenzione dei soggetti odierni. Per quanto tramandatomi da una vecchia “signora” che ebbi fortuna di conoscere, uno schnauzer con il mantello corretto non si toeletta mai. E lei si riferiva in modo particolare a due soggetti famosi del dopo guerra Allex Von Mansard e Fuchtel v.d. Rhonperle. A questi due stalloni che hanno dato una impronta nuova alla razza, bastava allontanare con una spazzola di ferro i pochi peli sparsi che “maturavano” e ritoccare a forbice il profilo del muso e delle sopracciglia.

Oggi tutto è diverso e questo cambiamento è dovuto alla selezione operata dagli allevatori che ci presentano soggetti assai meno “funzionali” ma anche molto più piacevoli da vedere.

Per ben mantenere uno schnauzer occorre, due o tre volte all’anno, rimuovere il suo pelo. Completamente. Talvolta persino il sottopelo deve essere rimosso, possibilmente dalla radice. Ciò ottiene l’effetto di riavere il mantello in ottima condizione dopo sette otto settimane. Le sette o otto settimane menzionate sono una media indicativa perché ogni soggetto, in dipendenza del clima, dell’alimentazione e di una personale condizione genetica, ha una diversa celerità di ricrescita del pelo. L’operazione di “stripping” può essere appresa da ogni buon proprietario con i consigli dell’allevatore o di un buon professionista del “coltellino”. E’ un vero e proprio coltello che si una per strippare il pelo degli schnauzer e di tutte le altre razze sottoposte a toelettatura. Tale coltellino presenta uno dei due margini della lama con dei piccoli denti. Quasi un seghetto. Il pelo è così agganciato dai piccoli “denti” dello strumento ed è quindi più facile rimuoverlo.

Si penserà che ciò sia molto doloroso ma se lo faremo quando il mantello sarà ben maturo e prossimo a cadere per normale muta. A tal punto è quasi un aiuto anche per la cute che spesso, oppressa dal pelo cadente e dal nuovo che punta per uscire, presenta irritazioni, forfora e secchezza insieme a prurito.

Per il colore nero i problemi non sono invece molti. Personalmente ritengo che anche in questo caso rispettare i naturali cicli di crescita del pelo darà migliore intensità al pelo definitivo. Ciò che è assolutamente da osservare nel caso del pepe e sale se non si vuole correre il rischio di veder comparire il “giallo” e cambiare il tono grigio azzurro argenteo tanto apprezzato e piacevole. È invalso da qualche anno la esecranda pratica del “rolling coat” consiste nell’asportazione quasi quotidiana di poco pelo di copertura in maniera uniforme su tutto il tronco, il cranio e il petto. Ciò facilita la ricrescita continua dei peli asportati e si pensa che ciò dia la possibilità di tenere pronti i soggetti per l’esposizione durante tutto l’arco della stagione espositiva. Nulla di più errato. Se questa pratica è attuabile per i terriers che col togliere il pelo bianco o fulvo o nero si sollecita la ricrescita del pelo che conserva il colore e la tessitura di base, ciò è impensabile per la nostra razza. Ed eccone il perché: il pelo pepe e sale, come detto altrove, è nero alla punta, ha una fascia bianca per tornare nero alla sua radice. Va da se che ricrescendo vedremo punte nere sbucare fra il tono “grigio” del pepe e sale conferendo, al suo aspetto, l’apparenza di mantello “tarlato” mai uniforme e mai compatto.

A conclusione di quanto ho detto fino ad ora mi piace ricordare ciò che si è sempre detto: lo schnauzer medio è il prototipo. Un gigante dev’essere uguale come se fosse visto attraverso la lente d’ingrandimento. Il nano anch’esso uguale ma visto col binocolo rovesciato.

Il tipo, le proporzioni, i volumi, gli angoli, l’equilibrio fra tronco e arti non devono cambiare ed esaminando la razza in ciascuna delle tre taglie ed in ognuno dei quattro colori riconosciuti, deve sempre apparire inconfondibile l’impronta di razza. Gigante o medio o nano sia sempre molto evidente che si tratta di uno schnauzer.

MOVIMENTO

Un buon movimento, qualunque esso debba essere è sempre il frutto di una buona costruzione del soggetto. La qualità del movimento in un particolare tipo di soggetto è determinata dalla sua rispondenza all’impiego per il quale tale soggetto è stato selezionato. Nel caso dello Schnauzer tale selezione è stata mirata all’ottenimento di un cane che, dovendo accompagnare le carrozze, fosse un ottimo galoppatore. La miglior costruzione per uno Schnauzer sarà quindi quella che consentirà al nostro cane di poter a lungo galoppare in modo efficiente e quindi con il minor possibile sforzo, ogni difetto di costruzione che alteri tale equilibrio e tale ottimale rapporto fra risultato e sforzo sarà quindi indesiderabile.

Il movimento risulterà quindi corretto quando gli arti risulteranno in buon appiombo e le ossa risultino nei giusti rapporti di lunghezza e angolazione.

Alcuni dei difetti riscontrabili nel movimento dell’anteriore sono:

Mancinismo, quando nell’appoggio a terra i piedi non risultano paralleli ma le loro punte sono divergenti fra loro.

Cagnolismo, quando viceversa, nell’appoggio a terra le punte dei piedi risultano convergenti fra loro,

Padling, quando si ha l’impressione che il cane sia seduto in una canoa e che remi,

Sgomitato, quando il cane ha i gomiti “molli”

Incrocio, quando nel movimento sembra che il cane cammini su di un filo appoggiando gli arti l’uno davanti all’altro fino ad incrociarli.

Alcuni dei difetti riscontrabili invece nel posteriore sono:

Vaccinismo, quando i garretti sono troppo ravvicinati,

A botte,

Troppo chiuso o addirittura quando sembra che il cane cammini su di un filo,

Side o Crab walking, quando il cane pur procedendo verso un punto seguendo una linea retta posiziona l’anteriore ed il posteriore non lungo lo stesso asse verso il quale si muove ma su di un asse ad esso diagonale.

Ognuno dei difetti sopra citati presuppone che il cane sia costruito in modo non corretto e che quindi gli arti si muovano non in perfetto appiombo e non in armonia con quello che è l’allungo dell’anteriore e la spinta del posteriore e con l’uso appropriato e corretto dei garretti. Molti soggetti hanno infatti il garretto che anziché “spingere via” il terreno sembrano irrigiditi fra garretto, metatarso e tarso e quindi l’angolo femoro-tarsale viene poco usato per la propulsione, non muovono quindi secondo un movimento naturale che dovrebbe essere di tutti gli animali.

Il corretto movimento dello schnauzer è detto laterale ossia con i due treni allineati prima uno poi l’altro. Difettoso è invece il movimento ambio, quando cioè gli arti, anteriore e posteriore di uno stesso lato, vengono spostati contemporaneamente. Il movimento ambio è talvolta riscontrabile nei giganti, nei quali però, nella maggior parte dei casi esso si riscontra solo nei primi passi e si risolve allorché l’animale nello sviluppo del movimento recupera riuscendo ad esprimere il naturale e corretto movimento laterale. Nel movimento quindi si notano i difetti di costruzione ed ancor più i problemi dovuti ad un garretto troppo lungo o ad un omero troppo corto, problema quest’ultimo molto diffuso ai nostri giorni e che comporta un movimento detto “steppare” o movimento “Hackney”.

Si deve oggi riconoscere che nelle nostre razze si riscontra in percentuale molto elevata un movimento chiuso nel posteriore, con i garretti cioè ravvicinati. Ritengo che potrebbe risultare utile sottoporre alcuni soggetti a radiografia della tibia, la quale oltre a dover presentare una determinata lunghezza minima prescritta per essere in buona armonia con il femore è mia personale convinzione che presenti una leggera arquatura, non risultando cioè diritta dall’innesto del tarso alla congiunzione tramite il ginocchio al femore ma presentando una leggera curvatura, determinando così questo tipo di chiusura del posteriore, cosa che ripeto è comune a tutte e tre le taglie della nostra razza. Pertanto non dovremo penalizzare eccessivamente tale difetto, pur considerando che, a parità di qualità generali fra due soggetti sarà da preferire quello che non presenterà tale tipo di difetto. Importante sarà anche osservare come nel movimento il cane oltre ad avere degli appiombi corretti ed una buona armonia fra allungo e spinta mantenga una buona fermezza della linea dorsale, con un garrese ben rilevato ed una coda che sia la naturale sortita della linea del rachide a conferma della solidità e della compattezza del soggetto. Il cane che avesse il rene un po’ lungo tenderebbe ad oscillare, specialmente nel posteriore, poiché essendo il rene il ponte fra l’anteriore ed il posteriore ed essendo tale ponte lungo e un po’ esile rispetto al resto dei volumi del cane può dare adito a questo movimento difettoso.

Nel giudicare un animale, nel nostro caso uno schnauzer, è sempre piacevole che l’armonia determini un quadro corretto di quello che è la nostra idealizzazione del tipo, della costruzione, della condizione, pertanto anche il movimento non dev’essere sottovalutato perché è un po’ l’espressione non solo di un certo tipo di addestramento, perché un cane va anche un po’ allenato e addestrato a muoversi in un dato modo, ma è l’espressione del carattere del cane, perché un cane che cammina con il garrese alla giusta altezza, con un giusto allungo dell’anteriore, con una bella propulsione dei garretti usati nella maniera giusta, con la groppa giusta e con la coda che sortisce correttamente come anzi detto è sicuramente piacevole all’occhio del giudice che può constatare anche nel movimento l’armonia che il cane gli aveva già offerto nell’esaminarlo da fermo.

CARATTERE

Come recita lo standard lo Schnauzer è un cane cordiale ma riservato. Dobbiamo rifarci all’epoca nella quale è stato selezionato il prototipo e cioè un’epoca primitiva e poco frequentata qualitativamente e quantitativamente dall’uomo e quindi un cane che è stato abituato ad essere custode del proprio compagno quadrupede, il cavallo, e fare guardia al suo cibo a riservarsi di camminarne al fianco sportivamente per lunghi chilometri incontrando però tutto sommato poca gente. Un cane pertanto riservato quel tanto che gli consente di essere devoto al proprio padrone ma non di far festa a tutti. Ottimo cane che guarda il suo territorio, geloso quindi del proprio dominio al punto tale che lo difende con ardore e con convinzione. È un cane estremamente affettuoso ed estremamente leale nei confronti non solo del padrone ma di tutti i componenti della famiglia. Soprattutto nel caso del medio, poiché nella selezione che ha portato alla nascita delle altre due taglie vi sono state infusioni di altro sangue che ne hanno modificato alcune sfumature caratteriali, il suo amore va però in modo particolare ad una persona nell’ambito famigliare.

È un cane gioioso che ama il gioco e tale resta fino a tarda età quando invece soggetti di altre razze dormono saporitamente. È molto vigile, ha una soglia di attenzione spiccatissima per cui certo non capiterà che il cane dorma allorché un estraneo o una macchina non conosciuta si avvicinano al suo territorio. Certamente il gigante ha più vivo il senso della difesa, il medio è invece più incline alla guardia, per la quale è stato selezionato, il nano infine è un cane più giocherellone pur rimanendo un ottimo guardiano. Personalmente l’attitudine del medio, sarà perché li ho allevati, ne ho avuti di più è quella che mi affascina maggiormente.

CONCLUSIONE

Nel suo insieme ciò che più ci colpisce la prima volta è l’impatto visivo, l’espressione di armonia, di eleganza con sostanza, di compattezza e solidità; in due parole, l’avvenenza fisica, unitamente al carattere un po’ riservato, attento.

È quindi un cane altamente raccomandabile soprattutto per dei palati raffinati, non è un cane da tutti per nostra fortuna e per fortuna della razza. Pertanto il raffinato che gli si avvicina, difficilmente, ritengo, rinuncerebbe in seguito ad avere un altro cane che non fosse uno Schnauzer.